Storia della sede

Dall’ottobre del 1994 l’Aurora si è trasferita in una nuova sede, in via Dé Macci 11 a Firenze, di proprietà della Curia con la quale è stato stipulato un contratto di affitto. La sede è un’antica e meravigliosa chiesa sconsacrata.

Storia della Chiesa da “Le Strade di Firenze” di Franco Cesani

Il lungo percorso dell’attuale via Dé Macci è costellato di targhe. La più interessante è senza dubbio quella incisa sopra un antico stemma della famiglia dei Macci sulla facciata del convento fondato da Caio di Francesco nel 1344 insieme alla Chiesa intitolata a San Francesco.

L’iscrizione, secondo la lettura di Francesco Bigazzi, recita:

ISTUD MONASTERIUM QUOD VOCATUR

SANCTUS FRANCISCUS A TEMPIO DE MACCIS

FECIT CAIUS DE MACIS PRO ANIMA

FRANCISCI PATRIS SUI ET PRO ANIMA SUA

ET OMNIUM SUORUM. ANNO DOMINI

1344, DE MENSE JANUARII.

La chiesa e il monastero incorporarono l’antico ospedale eretto nel 1355 e vennero affidati alle cure dell monache francescane. In epoche più recenti le suore del convento di S. Francesco misero il monastero a disposizione delle donne separate dal marito e delle madre nubili. Per questo l’antico ospedale prese il nome di malmaritate.

Nella chiesetta era custodita la Madonna delle Arpie di Andrea del Sarto, oggi esposta agli Uffizi. Fu in granduca Ferdinando II a ottenere dalle monache il dipinto in cambio di un restauro della chiesa condotto dall’architetto Giovan Battista Foggini. In seguito alla soppressione del convento del 1808, le monache vennero allontanate e la chiesa sconsacrata e adibita prima a teatrino parrocchiale e in seguito a laboratorio di restauro ligneo.

A lato dell’ingresso della chiesa, ancora oggi si intravedono le tracce dell’antico porticato dell’ospedale. All’interno, sull’ingresso della cappella secentesca disegnata dal Foggini e affrescata da Vincenzo Dandini, si legge:

INTROITE IN LOCVU

TABERNACVLI

ADMIRABILI.

San Francesco Dé Macci (anche: San Francesco al Tempio)

Via dei Macci 17, Firenze

La fondazione del complesso è da collegarsi col testamento di Francesco dé Macci del 7.1.1310, nel quale viene previsto la costruzione di un monastero o ospedale dedicato a S. Chiara.

Nel 1335 il figlio del ormai defunto, Caio, informa l’arcivescovo fiorentino del adempimento all’ultima volontà; la presunta ultimazione dei lavori riguarda probabilmente l’ospedale, mentre il monastero secondo un’iscrizione trovata sul muro est della chiesa accanto a degli stemmi abbattuti dovrebbe esser stato terminato solo nel 1344.

Per la gestione del complesso furono chiamate monache dal convento di clarisse di S. Giusto nella diocesi di Arezzo.

Nel 1473 per bolla di Papa Sisto IV, il convento fu sottoposto alla tutela dei monaci di S. Croce.

Il 1808 segna la soppressione del convento e l’espulsione delle ultime religiose. La chiesa svolgeva funzione di oratorio per la confraternita dei Quojai; gli edifici conventuali invece furono ridotti ad abitazioni.

Storia degli interventi architettonici e degli arredi della chiesa

La costruzione della chiesa conventuale si presenta come risultato di una ristrutturazione di un palazzo altomedioevale, le cui traccie sono state scoperte sulla mura dell’edificio verso Via dé Macci e lasciate leggibili. La costruzione originaria, di dimensioni corrispondenti alla chiesa attuale, era orientata da est verso ovest. La facciata in Via dei Macci non sembra che sia stata articolata in nessun special modo.

Come arredo interno prima degli interventi sei-settecenteschi sono documentati un crocifisso in basso rilievo e affreschi rappresentante Maria e Giovan battista, opere di cui non è rimasta traccia; ben documentata invece è la vicenda della pala dell’altare maggiore, che non soltanto dava velocemente gran fama al convento fra i conoscitori d’arte, ma che in più fu di primaria importanza per il suo futuro; nel maggio del 1515 le monache per intercessione del loro governatore dei Frati di S. Croce avevano commissionato una pala d’altare da Andrea del Sarto, che doveva rappresentare secondo il contratto: “Maria con figlioletto in braccia a due angeli in atto di incoronarla, con ai lati S. Giovanni Evangelista e S. Bonaventura ‘ad usum cardinalis'”. Per motivi che sono stati oggetto di svariate speculazioni, non soltanto l’artista non rispettava la prevista data di consegna, ma la pala finita rappresentava la Madonna (sorretta anziché incoronata dai due angeli) fra San Giovanni Evangelista e San Francesco. Il quadro, consegnato finalmente nel 1517, fu dal Vasari giudicato “fra le cose di Andrea di singolare e veramente rara bellezza” e diventò famosissimo con il nome di “Madonna delle Arpie”, nome che si deve sempre a suggerimenti del Vasari.

Fra il 1549 e il 1560 la chiesa originaria fu sottoposta a un primo intervento; superficiale come sembra. Non è neanche da escludere che si trattava solo di lavori di risistemazione dopo i danni della spaventosa inondazione del 1557, che come risulta dallo stato di conservazione della parte inferiore della “Madonna dell Arpie” arrivò ad una altezza notevole nella chiesa stessa.

L’inizio dei lavori che porteranno in grandi linee all’aspetto attuale dell’edificio è stato stabilito nel 1686, ma sicuramente non prima dell’anno 1683. E’ questa per lo meno la data della stipulazione dell’accordo fra il convento e il Granprincipe Ferdinando, figlio di Cosimo III e pretendente al trono intorno alla cessione della pala dell’altare maggiore alle collezione medicee. Per poter impossessarsi del quadro che oggi si trova agli Uffizi, il granprincipe non solo prometteva una “copia di buona mano” o “in sua vece un’altra opera che fosse di loro gradimento”, ma più che altro la ristrutturazione della chiesa.

L’innaugurazione solenne dell’oratorio rinnovato si festeggiava il 4.10.1704. La direzione dei lavori era stato in mano a Giovanni Battista Foggini (1652-1725), architetto mediceo preferito, nel 1694 nominato Architetto di Corte. Il Foggini pur mantenendo i muri della chiesa medievale, cambiava l’orientamento da est – ovest a nord – sud, riorganizzava la struttura spaziale del vano e copriva tutta la struttura con una ricca decorazione a stucco, nella quale spicca l’emblema francescano delle braccia incrociate.

Alla stessa campagna architettonica si deve anche la creazione del vano antistante la chiesa, al quale ammette il portale barocco da Via dé Macci.

Carlo Cresti paragonando S. Francesco con la contemporanea ristrutturazione della chiesetta di S. Maria a Candeli, pure opera del Foggini, fa risaltare la sensibilità che l’architetto abbia avuto nella chiesa delle clarisse verso l’effetto spaziale. Contrariamente al semplice susseguirsi di due spazi rettangolari sulla stessa asse, come si presenta in S. Maria, il Foggini in San Francesco accenna nelle curvature del muro del presbiterio e dello zoccolo dei gradini dell’altare, al presbiterio come un spazio ellittico con una sua propria autonomia architettonica.

D’altra parte questi rimangono effettivamente accenni messi a sua volta in confronto con il, per l’ambito fiorentino, complesso intreccio spaziale di S. Giorgio sulla Costa (1705), sempre una risistemazione di una chiesa preesistente ad opera del Foggini.

Per la decorazione pittorica prevedeva Pier Dandini (1646-1712), che nella svolta della sala raffigurava: “San Francesco riceve Gesù Bambino dalle mani di Maria” e nella cupoletta del presbiterio: “Trasfigurazione dei Santi Francescani” con 4 angeli nei pennacchi.

Per quanto riguarda l’arredo pittorico mobile, risulta che Ferdinando abbia provvisto alla realizzazione di tutte e due proposte, nell’accordo ancora avanzate alternativamente, in quanto per l’altare di destra viene fornita una copia della “Madonna delle Arpie” (eseguita da F. Petrucci (1660-1717); già in S. Maria della Croce al Tempio e oggi nella Chiesa del Complesso di Montedomini sopra l’altare maggiore in un formato più allungato rispetto all’originale, per quello di sinistra (la ‘Capellina di S. Carlo’) invece, in formato corrispondente una pala commissionata nel 1704 Sebastiano Ricci (1659-1734) a Venezia che rappresenta ‘Cristo crocifisso con la Vergine e i Santi Carlo Borromeo e Giovanni Evangelista’ (oggi agli Uffizi).

Il posto della pala d’altare venduta fu preso da una ‘Immacolata e Santi’ di Carlo Sacconi (not. 1697/1747), che oggi si trova nei Depositi della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici.

Un’altro elemento dell’arredo settecentesco invece sembra definitivamente sparito: la cantoria spostabile ornata di pitture di Giuseppe Tonelli.

L’affresco che oggi troneggia al posto delle due pale dell’altare maggiore ricordate, rappresenta Papa Pio XII (Papa dal 1939 – 1958) in pieno ornato e frontalità ieratica e inserisce una nota di curiosità in questo bel spazio seicentesco, che pure richiederebbe qualche delucidazione.